Nato nel 1941 dalle menti di Paul Norris e Mort Weisinger, non si può negare che Aquaman sia un supereroe sui generis per i fan dei film della DC Comics. Vive sott’acqua e parla con i pesci. Così le prime due apparizioni del principe atlantideo in Batman v Superman e Justice League non sono riuscite a dare il meglio. La decisione della Warner Bros di realizzare il primo film solista di Aquaman rischiava quindi di rivelarsi un grande “buco nell’acqua”. Il risultato è invece un film d’avventura sì imperfetto per via di alcune scelleratezze narrative ma ricco di momenti adrenalinici come il lungo combattimento girato in Sicilia, durante il quale viene semidistrutto un finto paesino vicino ad Erice.
Premesso ciò, passiamo alla trama. Arthur Curry, alias Aquaman, nato dal rapporto fra la regina di Atlantide Atlanna (Nicole Kidman) e un mago chiamato Atlan, viene adottato da genitori terrestri. Fin da bambino riceve un addestramento per essere pronto da adulto a reclamare ciò che gli spetta. Un bel giorno, la principessa sottomarina Mera (Amber Heard) – che abbiamo incontrato brevemente in Justice League – chiede il suo aiuto per sventare il tentativo di colpo di stato di Re Orm detto anche Ocean Master. Il fratellastro dell’eroe è pronto a dichiarare guerra agli umani rei di distruggere da ben 100 anni l’ecosistema con rifiuti e gas inquinanti. Dopo le prevedibili resistenze iniziali, il nostro eroe amico della birra decide di lanciarsi alla ricerca del tridente perduto per bloccare i piani bellicosi di Orm.
Ma non è finita qui. Il re dei mari, interpretato dall’hawaiano Jason Momoa, ex surfista, modello dell’anno nel 1999, protagonista de Il Trono di Spade e pure di Conan il Barbaro, deve vedersela con un altro cattivo: si tratta di Black Manta, il malvagio mercenario David Kane, che ha un conto in sospeso con Aquaman.
Dell’ultimo film della franchise fumettistica rimane soprattutto la metafora del legame che esiste tra l’uomo e l’ecosistema che lo circonda. Come l’eroe subacqueo, siamo realmente dei super-organismi, composti da elementi umani, ma anche da altri microbici extraumani tra loro strettamente connessi, inseparabili e dipendenti gli uni dagli altri per la loro sopravvivenza.
Il film spinge quindi a un ripensamento dell’idea stessa di Natura, nella sua relazione con l’uomo e quindi con la società, approfondendo un concetto, quello della giustizia ambientale, che evidenzia come la minaccia alla salute dell’intero pianeta ricada in maniera diseguale provocando il peggioramento e la distruzione delle condizioni materiali di vita di miliardi di persone. E questo, al di là di ogni possibile critica, è un pregio difficilmente sottovalutabile.