Le Festività Natalizie sono imminenti. Alle tavole imbandite, più o meno riccamente, si ripeteranno i riti di condivisione celebrativi di buoni propositi e sentimenti, da nord a sud senza esclusione di piatti. Già da un paio di settimane gli scaffali addobbati allenano lo sguardo e sollecitano papille linguali impazzite per arrivare preparati ai cenoni. Al di là dei cliché, il rapporto tra italiani e cibo, si sa, è di tipo mistico religioso. Siamo cresciuti con il mito della cucina italiana, migliore espressione della dieta mediterranea, come in assoluto la più gustosa, a livello planetario si intende. A dispetto di un meritato primato, però, il famigerato cibo spazzatura, processato, impacchettato in fantasmagoriche monoporzioni o in confezioni convenienza con etichettature come trattati esoterici, ha comunque invaso le nostre dispense. Il picco si registrò, tra la fine degli anni novanta e l’inizio del ventunesimo secolo. I discount iniettavano sul mercato non meglio riconoscibili prodotti a buon prezzo. Il fast-foodismo divenne mental status nella contemporaneità, ottimo alleato dell’esotismo a buon mercato che inesorabilmente ha scalzato il vintage climate delle serate alla ‘famose du spaghe’. Ben oltre l’happy-hourismo – post moderno orizzonte concettuale nei processi di socializzazione di massa all’imbrunire, l’ultimo lustro ha fatto registrare un’impennata del bisogno di ritorno alla consumo di cibo sano, sostenibile, a km ‘0’, in quantità equilibrate a beneficio anche dell’ambiente. Siamo nel tempo di una rivoluzione culinaria che, tra lacune, cheffismo stellato e, costi quel che costi, sacche di resistenza reazionaria, non è più procrastinabile. La scienza medica e quella alimentare, l’associazionismo di categoria, nuove realtà produttive e maggiore consapevolezza dei consumatori fanno sì che qualità e tracciabilità dei prodotti, oltre che un accesso a questi per tutte le tasche, siano obiettivi primari.
Il discorso vale anche per fasce di consumatori con bisogni specifici. Non ci si riferisce solo al crescente numero di persone che, per scelta etica e/o salutista, abbiano adottato un’alimentazione vegetariana o vegana. Parliamo di consumatori che convivono con patologie di tipo alimentare. Di recente, l’aumento del numero di persone affette da celiachia ha indotto la revisione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), con il DM del 12/01/2017. La celiachia e la sua variante clinica, la dermatite erpetiforme, sono state inserite nell’elenco delle malattie croniche invalidanti. I dati epidemiologici hanno dimostrano che entrambe le forme cliniche non rientravano più nel limite di prevalenza stabilito a livello normativo europeo per malattie rare, fissato su un’incidenza di 5/10.000 abitanti. I pazienti celiaci in Italia sono passati dai 60.000 nel 2007 ai 180.000 attuali. Un numero destinato ad aumentare soprattutto se si considera la tardività delle diagnosi. Quando parliamo di celiachia e dermatite erpetiforme parliamo di patologie che insorgono in soggetti geneticamente predisposti e la dieta aglutinata è, ad oggi, l’unica terapia per indurre la regressione degli effetti provocati dall’assunzione del glutine. Altra cosa è la gluten sensitivity non celiaca, patologia intestinale diffusasi negli ultimi anni, che riguarda circa tre milioni di italiani, e comunque direttamente connessa all’eccessivo consumo di glutine e alla qualità delle materie prime utilizzate.
Il glutine è un composto peptidico contenuto in alcuni cereali, soprattutto nel grano o frumento, ma anche in spelta, farro, tritivale, kamut, nella segale, nell’orzo, spesso nell’avena, in quest’ultimo caso per contaminazione avvenuta nel processo di raffinazione. Nei semi di origine, le proteine che compongono il glutine hanno la funzione di nutrire l’embrione durante la germinazione. Originariamente separate si combinano per poi formare appunto il glutine negli impasti a base di farina, con l’attivazione dell’acqua. L’eccesso di consumo di prodotti a base di cereali altamente raffinati, come quelli importati da paesi quali gli Usa ed il Canada, è causa d’insorgenza di disturbi come spossatezza, gonfiore e dolori addominali, sintomi simili a quelli tipici della sindrome del colon irritabile. Disturbi comuni e fastidiosi che guidano sempre più consumatori verso la scelta di prodotti gluten free.
I produttori non hanno perso tempo. Le linee di prodotti aglutinati si sono moltiplicate. Per chi si aggira tra gli scaffali colorati a festa non c’è che l’imbarazzo della scelta anche a Natale. Sembrerebbe una buona notizia, se non fosse che i prodotti aglutinati presentino un loro lato oscuro. In un articolo del 2017, pubblicato su The Guardian, veniva citata una ricerca svolta da un team di esperti dell’ Instituto de Investigación Sanitaria La Fe in Spagna. Lo studio metteva a confronto 655 prodotti convenzionali e 654 prodotti aglutinati, coprendo circa 14 tipologie di tipi alimentari tra cui pasta, farine, cereali da prima colazione, biscotti e piatti precotti su una gamma di brand diversificati.
Presentato al 50esimo Congresso annuale della European Society for Paediatric Gastroenterology Hepatology and Nutrition, lo studio allertava sui rischi di un’alimentazione a base di prodotti industriali gluten-free. In sostanza, Joaquim Calvo Lerma, co-autore della ricerca, sottolineava la differente capacità e qualità nutrizionale dei prodotti gluten-free. La presenza maggiore dei grassi aumenta il rischio di obesità soprattutto infantile, in quanto fascia di ‘accaniti’ consumatori di biscotti e cereali.
Anche in questo caso, l’industria alimentare, i produttori sono i responsabili dell’immissione sul mercato di prodotti aglunati con profili nutrizionali da migliore. E in Italia? Per celiaci, ma anche solo per coloro che semplicemente desiderino acquistare e gustare prodotti aglutinati, non vi è ancora una capillare diffusione di realtà in cui la celebrazione del gusto e del prodotto siano a portata di palato. In attesa di un’offerta diversificata che riesca a soddisfare anche in Italia la domanda crescente per celiaci e non, non ci resta che augurare a tutti un Buon Natale gluten free …e che le bilance siano clementi.