La cumbia sembra essere un’emanazione diretta della cumbiamba, una danza in circolo che uomini e donne, provenienti dall’Africa, eseguivano a piedi nudi sulla sabbia, in riva al mare, attorno ad un grande falò. La denominazione è, infatti, africana: in molti dialetti parlati dagli africani il termine “kumb” significa suono, rumore o frastuono. Quando le popolazioni provenienti dall’Africa furono impiegate nelle sterminate piantagioni della Colombia coloniale, le piantagioni stesse furono chiamate kumbè, per via dei suoni e dei rumori che gli schiavi producevano durante il lavoro.
Il passaggio dalla cumbiamba alla cumbia risale alla fase di superamento della schiavitù, quando interi gruppi di coloro che avevano subito questa condizione, organizzarono i propri villaggi sulla costa dell’Atlantico (al di sopra di Panama) e si insediarono in questi luoghi.
La cumbiamba nasce come rituale che avveniva intorno al fuoco: si formava un grande cerchio intorno ad esso e si ballava sulle basi ‘musicali’ prodotte da strumenti a percussione. Il tutto era finalizzato all’incontro della gente del villaggio durante le ore serali come occasione di socialità e, soprattutto, il solo contesto possibile per gli incontri amorosi.
Si applicò, poi, la variante che consistette nello scioglimento dello schieramento a cerchio dei ballerini che si tenevano per mano, per dar vita ad un ballo di coppia dove, comunque, i due protagonisti girano l’uno intorno all’altra senza incontrarsi.
Lentamente assunse il significato di danza di malizioso corteggiamento e giunse a connotarsi come danza caratteristica della Colombia.
La donna, naturalmente, assumeva un ruolo fondamentale, essendo l’oggetto del desiderio maschile e la destinataria dell’offerte d’amore. La sua danza non era ispirata alla ritrosia, ma si esplicava attraverso armoniosi ed invitanti movimenti dei fianchi e del bacino.
Grazie all’apporto della componente spagnola, la cumbia si trasformò in un prodotto molto più sofisticato. Fu introdotta la parte cantata, nella doppia articolazione di coro e voce solista, si aggiunse al ritmo africaneggiante una musicalità quasi europea. Da allora, il suo successo non si è più fermato, sia come genere musicale e coreico, sia come veicolo di messaggi a contenuto amoroso, culturale e sociale.
La cumbia, per tanto, si presenta come un connubio incredibile di tre anime: quella africana con la relativa struttura ritmica e le percussioni, quella indigena con i flauti, e quella spagnola con le variazioni melodiche e le coreografie.
Dal 1940, la cumbia colombiana, iniziò ad espandersi in altri paesi dell’America Latina: apparvero, così, altri generi come la cumbia argentina, la cumbia messicana, la cumbia peruviana e la cumbia venezuelana.
Gli strumenti più usati dalle band di cumbia tradizionale, sono i tamburi, flauti colombiani, flauto traverso e le maracas. I vari adattamenti del genere possono includere violini, fisarmoniche e tastiere. Nella cumbia messicana, invece, vengono spesso utilizzati strumenti come la chitarra elettrica, basso elettrico, le timbaletas, le congas, il guiro e il clarinetto. Nella cumbia peruviana è possibile notare l’influenza di generi come salsa, merengue e bolero huayno; in quella argentina ci sono influenze provenienti dallo chamamé e dal tango; una versione di questo genere, diventata popolare negli ultimi anni, è la cumbia villera. Nata nei quartieri poveri di Buenos Aires nella seconda metà degli anni ’90, ha sonorità nettamente più commerciali con testi che trattano di tematiche quali, ad esempio, crimini e droga.
Per tanto parlare di cumbia come di uno specifico e unico genere musicale è davvero troppo limitante ma è anche vero che poter citare tutti i gruppi tradizionali e atavici sino ai più moderni che fondono la cumbia a sonorità, ad esempio, elettroniche, risulterebbe improponibile.
Si può, però, parlare della scena italiana e a riguardo è impossibile non citare la prima compilation di Cumbia (uscita l’anno scorso) prodotta in Italia e targata La Tempesta Sur, Istituto Italiano di Cumbia Vol.1. Da qui anche il nome del collettivo che comprende nove nomi provenienti da altrettante città italiane. Gruppi, cantanti, producer, dj e collettivi musicali uniti per dar vita ad un’esplosione di cumbia che, partita dalla Colombia, trapassa tutta l’America e riesce a trovare una voce tutta nostrana. Cacao Mental da Milano, Malagiunta per Torino, Ucronic da Pordenone, i romani Los3saltos e Franiko Calavera, Mr. Island a Lignano Sabbiadoro e Il Soffritto Musical da Città di Castello, solo per citarne alcuni.
L’incarnazione sonora di un cambiamento antropologico in una scena musicale che unisce la musica popolare a suoni elettrici ed elettronici, per dar vita alla cumbia contemporanea, cumbiatron, cumbia digitale, o cumbia elettronica, che riesce a fondere il presente (e forse anche un po’ il futuro) con qualcosa di antichissimo, di ancestrale, di folkloristico e di indigeno.
Ora sta a voi capire quale possa essere il ritmo cumbiero che più vi inebria…una cosa è certa, non riuscirete a star fermi ascoltando la cumbia!