Benjamin diventerà un grande medico, di questo è sicuro. Ma durante il suo primo giorno di tirocinio nel reparto di medicina interna del padre, niente va come dovrebbe. La pratica si è rivelata più ardua della teoria. La responsabilità è schiacciante, suo padre è assente e l’altro interno, Abdel, un medico straniero, si dimostra più competente di lui.
Come nei migliori racconti di formazione, in Ippocrate, il nuovo film di Thomas Lilti, nelle sale dal 7 giugno, il protagonista, interpretato da Vincent Lacoste, si troverà bruscamente di fronte ai propri limiti, alle proprie paure, a quelle dei suoi pazienti, delle famiglie, dei medici e del personale dell’ospedale. Inizia il suo cammino verso la maturità.
Prima di dedicarsi alla regia, Thomas Lilti ha studiato medicina. E’ stato quindi facile per lui trovare un punto di equilibrio tra le due professioni. “Hanno qualcosa in comune – spiega – il lavoro di squadra, un qualche assetto gerarchico e il contatto con una serie di specializzazioni. La differenza, e d’altronde è questo l’argomento centrale di Ippocrate, sta nel peso della responsabilità di cui il medico può farsi carico. i dubbi che ti assalgono di continuo, il chiedersi se si è commesso un errore che potrebbe avere conseguenze gravi. Questa perdita di leggerezza mi ha segnato parecchio”.
Non è quindi un caso che il regista francese abbia scelto di girare le riprese nell’ospedale in cui ha fatto l’apprendistato. Lilti si tuffa nei suoi ricordi per offrire uno sguardo diverso da quello che il cinema francese ha avuto per lungo tempo nei confronti di questa istituzione. Innanzitutto bisogna rendersi conto che è un dato di fatto: il personale medico adora le serie medicali.
Ma la realtà è ben diversa. L’ospedale contemporaneo non è più la location perfetta per gli intrighi di genere come si vede nelle immagini stereotipate delle serie tv americane. Alcuni sono abbandonati, dismessi. I “mandarini” sono ormai diventati dei funzionari che, pur non essendo in condizioni finanziarie disperate, guadagnano molto meno degli specialisti che praticano la libera professione: il 30% dei dottori che lavorano negli ospedali pubblici è straniero proveniente da paesi non UE, sottopagato, con rapporti di lavoro a volte precari e sfruttati dai colleghi francesi.
Ippocrate diventa sia la storia dei singoli personaggi , sia la metafora dell’ambiente ospedaliero che viene rimessa in discussione. Il regista mette a nudo delle problematiche complesse come quella dell’impunità negli ospedali. Lui stesso racconta che da giovane specializzando, è stato il rapporto con l’impunità che mi gli causato maggiore sofferenza, perché consente di volteggiare tra etica e morale nel momento in cui si arriva a chiedersi se, in assenza della punizione, l’errore sia stato effettivamente commesso.
Domanda ancor più pregnante per un giovane tirocinante come Benjamin. Perché se l’età di un paese si può capire dall’età delle sue carceri, ciò vale ancor di più per gli ospedali.