Nella campagna italiana una marchesa approfitta della posizione isolata della sua fattoria per estendere la pratica della mezzadria ad un gruppo di contadini molti anni dopo la sua abolizione. All’interno di questa comunità ridotta in schiavitù che non sa nulla dei propri diritti e del mondo esterno, un giovane di nome Lazzaro è talmente buono da sembrare stupido.
Quattro anni dopo il Grand Prix per “Le Meraviglie”, Alice Rohrwacher torna in concorso a Cannes con Lazzaro Felice. Una favola divisa in due parti. La prima raffigura lo sfruttamento dei contadini da parte dei loro “padroni”. Quando l’inganno è svelato, gli ex contadini sono catapultati in una periferia urbana di una grande metropoli. Lazzaro, che un incidente sembrava aver fatto sparire per sempre dalla trama, rinasce grazie all’intervento soprannaturale di un lupo e si mette alla ricerca del figlio della marchesa, La seconda parte si concentra sull’amicizia paradossale che si sviluppa tra l’eroe sempliciotto, interpretato da Adriano Tardioli, e il figlio del nobile, l’unico diverso in quanto padrone, che abbia conosciuto. Un’amicizia tra due eroi abbandonati a se stessi in un universo amorale fatto di segreti e bugie.
Eppure il film pecca di una sceneggiatura indecisa su quale strada percorrere per disegnare il ritratto di una società, la nostra, che disprezza i più deboli e dove tutto ha un prezzo. Lazzaro Felice dà la sensazione di essere ambientato nel 19 ° secolo. In questo modo ci permette di confrontare l’ineguaglianza di una società feudale con il presente precario. A poco a poco, non appena compaiono i telefoni cellulari, un walkman e qualche musica da ballo, tutto diventa più confuso. Il risultato è un film bislacco ma assolutamente libero dove Lazzaro è un animo buono, oltre ogni razionalità: in lui c’è una forte dimensione religiosa, nel senso preistorico del termine. Non giudica non pensa male di nessuno ma semplicemente crede negli altri esseri umani.
Per vincere la Palma d’oro, Rohrwacher , considerata erede naturale di registi italiani come Pasolini e Olmi, i fratelli Taviani e persino Nanni Moretti, si affida al potere della favolosità per rivelare una realtà più profonda sotto la superficie del fatto. Lazzaro felice è un racconto anacronistico concepito come una pungente satira su come il tempo passa e il mondo avanza ma gli sfruttati in ogni angolo del globo continuano ad abbassare la testa.