Era il 22 maggio 1978 quando in Italia fu promulgata la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, dopo un’aspra battaglia che spaccò in due il Paese.
All’epoca, infatti, in risposta a grandi movimenti di donne che decisero di rifiutare la subalternità ad una condizione “di natura” e a un ruolo di sottomissione imposto dal modus vivendi sociale, si decise di legiferare. L’incarico fu affidato ai partiti di sinistra presenti in parlamento, in opposizione alla Democrazia Cristiana e al Movimento Sociale Italiano e contro l’ideologia del Vaticano (nonostante alcuni movimenti cristiani fossero schierati a favore della legge).
Quarant’anni dopo, però, le donne incontrano ancora molti ostacoli e il loro diritto a scegliere è tutt’altro che garantito. E’ tangibile il fatto che presentandosi in ospedali, consultori e farmacie di tutta Italia chiedendo di abortire o di avere la “pillola del giorno dopo”, la situazione sia davvero complicata e che l’aborto, oggi, risulti non facilmente realizzabile. Il nodo è quello dell’obiezione di coscienza di medici e infermieri. Secondo l’ultimo rapporto del ministero della Salute, infatti, con dati del 2016, i ginecologi obiettori nelle strutture in cui si praticano interruzioni di gravidanza sono oltre il 70%, con regioni dove si tocca il 90%.
Le donne stanno lottando in ogni parte del mondo – a riguardo, proprio in questi giorni in Irlanda ha trionfato il “sì” all’aborto con il 66,4% contro il “no” che si attesta al 33,6%-. Si sono aggregate in movimenti indipendenti o strutturati che, tra le tante cose, promulgano la contraccezione gratuita, il pieno accesso all’aborto e l’educazione a una sessualità libera.
Anche ‘Non una di meno’, movimento transfemminista nato dal basso formato da persone, gruppi, collettivi e associazioni, percorre questa strada.
Questo movimento è definito “intersezionale” in quanto rivendica discriminazioni rispetto alle donne, alle persone LGBTQIA+ e ai migranti portando avanti una ‘lotta’ contro la violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, razzismo, sessismo, omofobia e transfobia.
‘Non una di meno’, quindi, si organizza nelle varie città per portare avanti i propri intenti. Abbiamo incontrato, a riguardo, le ragazze di ‘Non una di meno – Bari’ per capire il loro punto di vista sulla legge 194.
Per loro, in una nazione dove l’obiezione di coscienza raggiunge il 70% con interi reparti, soprattutto al sud Italia, in cui la totalità dei medici è obiettore, è palese che l’accesso all’aborto diventi complesso e dispendioso. Inoltre, sottolineano che l’aborto farmacologico con la RU486, utilizzata e prescritta fuori dagli ospedali nel resto d’Europa è un’opzione accessibile in poche strutture e ancora ben lontana da essere fruibile in piena libertà di scelta. In Italia in caso di somministrazione della pillola è previsto un ricovero obbligatorio di 3 giorni ed entro le 7 settimane di gravidanza, una procedura attuata unicamente nel nostro paese, mentre negli altri la RU486 è somministrata fino a 9 settimane e senza obbligo di ricovero. L’obiezione di coscienza, continuano, riguarda anche i farmacisti che re-interpretano la legge e si dichiarano obiettori, rifiutandosi di fornire la pillola del giorno dopo, farmaco contraccettivo e non abortivo.
La loro proposta, quindi, è quella di andare oltre la legge 194, e si mobilitano per l’abolizione dell’obiezione di coscienza, per avere un reddito finalizzato all’autodeterminazione, per ottenere welfare per una sanità pubblica, laica e per avere consultori aperti alle donne di qualunque età, alle persone gay, lesbiche, trans, e alle migranti.
Chiedono, inoltre, la possibilità di avere la contraccezione gratuita e l’accesso gratuito all’assistenza sanitaria per l’ivg (interruzione volontaria di gravidanza) per la gravidanza e il parto indipendentemente dalla cittadinanza e dai documenti e si battono per l’eliminazione delle sanzioni amministrative per le donne che ricorrono all’aborto fuori dalle strutture sanitarie pubbliche.
La possibilità, dunque, di poter mettere in atto i propri diritti, di poter usufruire di una legge (che comunque andrebbe rivista!) che, all’epoca, si ottenne con fatica e che a distanza di quarant’anni sembra debba essere riconquistata. Perché per i propri diritti è giusto lottare, sempre!