“Vedi come ha l’attaccatura dei capelli alta? È innaturale, starà indossando di sicuro un parrucchino”. Il mio vicino di posto non riesce a staccare gli occhi dalla nuca di Claudio Baglioni. E non è il solo.
Sono le 15 del pomeriggio che anticipa la prima serata della 68esimo Festival di Sanremo. La platea del teatro Ariston pullula di giornalisti, una manciata di attrici, qualche spruzzata di soubrette. Assistere alle prove generali è un’esperienza mistica: se hai il giusto accredito e arrivi per tempo ti puoi accaparrare un posto in quinta fila centrale. I 20 big in gara ti sfilano davanti e sembra si stiano esibendo solo per te. Quando avranno finito toccherà alle 8 nuove proposte. Sopra alla testa ti sfrecceranno le telecamere della Rai mentre faranno il riscaldamento muscolare panoramico. Quando si esibirà Roby Facchinetti padre al tuo fianco si verrà a sedere Francesco Facchinetti figlio. Per loro sarà solo un affare di famiglia, ma a te darà la chiara sensazione che sei a Sanremo, dove per una settimana mondo della musica e mondo dello spettacolo si danno appuntamento senza esclusione di colpi.
Il direttore artistico, il capelluto Baglioni, siede in prima fila. Non perde occasione per salutare ogni artista in gara con una stretta di mano. Diventa gentile con i giovani, presentandoli uno a uno, anche se non è richiesto. Ma un buon padrone di casa introduce sempre i suoi ospiti. Dal 6 al 10 febbraio verrà affiancato alla conduzione da Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino, che però in giro ancora non si vedono.
I co-conduttori non saranno l’unica novità di questo festival: ci sarà un vincitore ma nessun brano verrà eliminato fino all’ultima sera e agli ospiti internazionali verrà chiesto di cantare anche in italiano.
I Papi favoritissimi di questa edizione, quelli che entrano da Papa ed escono da cardinale, sono Ermal Meta e Fabrizio Moro con “Non mi avete fatto niente”.
Ma le sorprese del Festival sono altre. Ci sono gli Stato Sociale che mischiano alla musica la performance. Indie e dissacranti, giovani e freschi, mettono una parolaccia nel ritornello e rischiano di diventare tormentone liberatorio. C’è un po’ di effetto Gabbani e un po’ degli Elio e le Storie Tese ma il pacchetto finale funziona.
In una palude di brani melensi e ballad romantiche troppo sanremesi, fanno la loro dignitosa figura Enzo Avitabile e Peppe Servillo. Un viaggio musicale tra Napoli, neomelodici, influenze arabe e un ritmo potente. Insospettabili e complici sul palco.
Mentre Ron canta un brano postumo di Lucio Dalla, nota che basterebbe a mandare a casa tutti gli altri, Diodato e Roy Paci fanno venire i brividi dall’emozione. Un climax vocale che ne sottolinea la potenza del cantato. E quando per un disguido tecnico il brano va riprovato, l’effetto non cambia.
Quel veterano di Riccardo Fogli, dopo aver duettato con Roby Facchinetti dice emozionato ‘Salivazione a zero’ e Elio delle Storie Tese indossa una t-shirt nera con scritto in rosso ‘Ex Rockstar’.
Ma a volte le canzoni più importanti si nascondono nei luoghi più improbabili. E così va a finire che la canzone più bella del Festival la firma un giovane con un nome ancora più improbabile: Mirkoeilcane. La si ascolta all’inizio sorridendo, ma il sorriso si ghiaccia ad ogni nuova nota. Ricorda ‘Signor tenente’ del compianto Giorgio Faletti e ti blocca la gola fino a quando non l’hai ascoltata fino all’ultima parola.
“Le prove sono finite”, annuncia un addetto Rai dal palco della nuova scenografia, così grande che sono stati tolti 9 posti dalle prime file della platea. “Allora questo Baglioni che Festival farà?”, mugugnano le voci dei giornalisti dal pubblico. “Non possiamo saperlo ancora. Ciò che sappiamo è che fin’ora non ha ancora sbagliato niente”.