Nel Buio intravedere la luce. Quando l’intelligenza artificiale ha mosso i primi passi nel mondo e i più illuminati tra noi avevano già antevisto la portata rivoluzionaria della nascente tecnologia, Nick Cave ha scagliato una sfida al nuovo medium, si è messo a comporre un brano tramite l’utilizzo di Chat Gpt “nello stile di Nick Cave” salvo poi commentare:” Questa canzone fa schifo”. Poi ha aggiunto che gli algoritmi non soffrono.
Tutta la sua arte è in fondo un manifesto: questione di cuore, questione di carne, canzoni che si fanno corpo vivo e che pulsano di un’umanità. Ombra e luce, dolore e speranza convivono in un sistema cosmologico complesso. Nick Cave è un pianeta solitario che la scorsa sera ha scelto la delicatezza del pianoforte. Le sue note incantano gli spettatori dell’Auditorium Parco della Musica il 21 Luglio 2025, prima data di due concerti a Roma.

In abiti da dandy parigino di inizio ‘900, energico, costantemente in dialogo col pubblico, l’artista australiano si è presentato sul palco accompagnato dal bassista dei Radiohead Colin Greenwood esibendosi nei suoi successi più recenti da “Girl in Amber” a “Waiting For You” a “Jubilee Street”. Cave non ha trascurato i capisaldi della sua discografia da “Mercy Seat” a “The Weeping Song” sino alla ballad “Into My Arms”, intonata da tutto l’Auditorium.
Intravedere la luce nell’ombra, dunque, a 67 anni Nick Cave ci riesce ancora. Lui che cattura l’animo delle folle con le sue movenze sinuose, lui che ha affrontato la morte di due dei quattro figli, quando presenta “O Children” dice: “E’ una canzone sul sostegno che un genitore dovrebbe dare al proprio figlio”. Poi intona le note al pianoforte con una compostezza al limite della freddezza. Perché le canzoni di Nick Cave sono sì fatte di carne e sangue ma ci ricordano quanto impegno, abilità, maestria, costanza debba avere un musicista che sale su un palcoscenico. Sulle note di Push Away The Sky è il pubblico ad invadere il palco, abbracciando, idealmente e concretamente, il più grande performer vivente.