Cosa ci si può davvero aspettare, oggi, da un concerto di Nada? È una domanda legittima, soprattutto per chi la conosce soltanto attraverso le canzoni più celebri, i grandi classici passati mille volte in radio, o l’immagine ribelle e incatalogabile che ha attraversato più di cinquant’anni di musica italiana. La verità è che, se ci si aspetta una semplice rievocazione nostalgica, si rimane spiazzati. Quella salita ieri sera sul palco dell’Auditorium Parco della Musica non era l’icona, ma l’artista viva, radicale, ancora sorprendente.
L’occasione era l’anteprima del tour dedicato a Nitrito, il nuovo album uscito il 9 maggio 2025, un lavoro che fin dal titolo dichiara la sua natura ruvida, istintiva, non addomesticabile. Nada è entrata in scena con passo sicuro, senza cerimonie, come se fosse naturale – inevitabile, persino – che fosse lì, al centro di tutto, accompagnata da una band giovane ma già perfettamente sintonizzata con il suo linguaggio.
Tra i primi brani in scaletta, Bella più bella, singolo che introduce il nuovo album, è un omaggio potente e sottilmente politico a figure femminili che hanno lasciato un segno – Emily Dickinson, Maria Callas, Malala Yousafzai, Nina Simone – evocate non come icone immobili, ma come presenze vive, complici, testimoni interiori. Nel video diffuso nei giorni precedenti al concerto, Nada le affigge sui muri della città come fossero manifesti di una rivoluzione intima, silenziosa ma inarrestabile. Un gesto che dice molto del suo modo di intendere la bellezza: non come ornamento, ma come forza resistente, capace di rompere l’ordine quando serve.

“Queste donne mi fanno compagnia. Sono la mia memoria. E la mia forza,” ha detto in un’intervista recente. E anche se sul palco non ha ripetuto quelle parole, era evidente che tutto lo spettacolo ne era una forma incarnata.
Nitrito è un album difficile da collocare. Ha un suono analogico, quasi artigianale, in cui convivono momenti di dolcezza estrema e improvvise accelerazioni elettriche, atmosfere scabre e improvvisi squarci lirici. Nada lo attraversa con una voce che cambia forma di continuo – piena, trattenuta, spezzata – come se stesse cercando, più che di raccontare, di esperire.
Uno dei momenti più intensi è stato Io ci sono: un brano che cresce lentamente, fino ad aprirsi in una tensione sonora quasi insostenibile. La voce si fa grido, la distorsione sfiora il punto di rottura, la band spinge al limite, ma senza mai perdere il controllo.
Nel corso della serata non sono mancati i riferimenti ai lavori precedenti. In mezzo al mare, con il suo riff ipnotico, ha aperto una sezione più rarefatta, quasi contemplativa. In Luna in piena, Nada ha scelto un registro narrativo più scuro, quasi parlato, come se stesse rivelando qualcosa di segreto. Guardami negli occhi è stata introdotta con un sorriso disarmante: “Non sono triste, sapete? Mi piace solo raccontare certi pensieri. Ma sto bene”.
E infine, i classici. Ma che freddo fa, Amore disperato, Senza un perché. Nada li canta quasi con distacco, come se volesse ricordare al pubblico che, pur essendo parte della sua storia, non la definiscono. Sembrano passare in mezzo al set come qualcosa di inevitabile, quasi burocratico, eppure necessari.