Novembre è sempre stato elemento che ha ispirato canzoni e film: purtroppo però in questo caso il titolo del movie November – I cinque giorni dopo il Bataclan rievoca tristemente il mese in cui si è vissuta una recente tragedia, vale a dire quella definita del Bataclan.
Era infatti nell’undicesimo mese dell’anno, il 13 novembre del 2015, quando a Parigi ci furono diversi attentati in sei zone della città in cui morirono in totale 130 persone oltre a sette attentatori che si ispiravano all’ISIS. L’attentato più grave fu proprio quello al Bataclan, una sala da concerti dove quella sera stava suonando la band rock californiana degli Eagles of Death Metal. Gli attacchi ebbero culmine proprio all’interno del Bataclan, dove i terroristi spararono sulla folla uccidendo 90 persone.
Per approfondire l’attentato terroristico di matrice islamica accaduto nel 2015 vi rimando in un articolo dell’autorevole giornale online “Il Post” : importante è dire che il film, partendo da quella funesta notte, ricostruisce la storia dei 5 giorni successivi, quelli in cui è partita la caccia ai killer sopravvissuti e vede coinvolta la divisione antiterrorismo della polizia francese, guidata da Heloise (Sandrine Kiberlain) e dal suo comandante Fred (Jean Dujardin), chiamata ad una complicata operazione di polizia per portare alla cattura degli autori degli attacchi il più rapidamente possibile prima che potessero colpire di nuovo, viaggiando attraverso l’Europa.
Lo spy thriller, come è stato classificato, vanta un cast pluripremiato di cui fanno parte oltre a Jean Dujardin (vincitore del premio Oscar come migliore attore nel 2012) e i Premi César Anaïs Demoustier, Sandrine Kiberlain e Lyna Khoudri.
E’ diretto dal regista francese Cédric Jimenez le cui impressioni sul film sono riproposte nel press book, dove racconta di come aveva dei dubbi sul dirigerlo: “Il progetto è nato senza di me. Olivier Demangel e il coproduttore Mathias Rubin sono venuti a propormi la sceneggiatura, che era già in uno stadio molto avanzato. Ma il tema è ovviamente molto importante per tutti, nessuno può rimanerne distaccato. Forse è anche per questo che avevo delle riserve a farne un film prima di leggere la sceneggiatura. Allo stesso tempo, però, era impossibile non leggere quello che Olivier aveva fatto con un argomento del genere, ed è stata la sua sceneggiatura a convincermi del tutto”.
Proprio la scelta di narrare solamente i cinque giorni successivi al massacro del Bataclan è forse il vero elemento di rilievo, perché il regista non ha volutamente proposto l’attacco ma solamente il dopo, evitando di inscenare l’orrore dell’eccidio, ma guardando solo a quello che è successo in seguito: “Il film non si occupa degli attentati in sé, almeno non in modo diretto, ma dei cinque giorni successivi. – spiega Jimenez – Ciò che mi ha affascinato è che, al di là dello shock, l’indagine della polizia è stata un compito arduo e, in termini di responsabilità, ha creato una tensione incredibile. La sceneggiatura ne parla. È questo che mi ha spinto a farlo. Mi sono messo nei panni degli investigatori e mi sono chiesto come avrei reagito all’obbligo di conseguire un risultato e alla paura del disastro se tale risultato non fosse stato raggiunto”.
Non a caso, gli attacchi sono filmati fuori campo, o addirittura risultano assenti. “Avrei trovato una cosa oscena, davvero oscena il mostrarli… Se avessi avuto la minima impressione in tal senso, non avrei mai fatto il film. Quello che mi è piaciuto è che si tratta del punto di vista opposto, quello delle forze di polizia impegnate nella cattura. Gli attacchi non sono stati messi in scena, né lo sono state le vittime. L’unico momento in cui il film lo fa è in ospedale, ma solo dal punto di vista delle indagini. E sono proprio ai margini dell’inquadratura, cercando di essere il più discreti possibile”.
Dunque, visto così e tralasciando per un momento l’orrore che tutti ricordiamo, diventa un vero film adrenalinico, focalizzato sull’indagine e i suoi tempi strettissimi: “Volevo ricreare quello che mi avevano raccontato i membri della squadra antiterrorismo. Parlavano di “effetto tunnel” – ho trovato il termine molto rivelatore e volevo ricrearlo nell’immagine. Il fatto che siano tornati a casa e non abbiano ritrovato alcuna intimità con la loro famiglia mi è sembrato importante per raccontare questa storia. Perché è davvero quello che hanno vissuto 24 ore su 24, senza interruzioni. Hanno messo tutto da parte, anche i loro sentimenti al riguardo. Sono andati in missione. È stata una sfida per me, anche nella produzione, ricreare questa spinta in avanti senza lasciare spazio agli stati d’animo. Non sappiamo chi essi siano. È una scelta di produzione, una scelta narrativa, un punto di vista. Mi piacciono i preconcetti. Il pregiudizio qui era l’indagine. I personaggi ci sono, esistono, ma sempre al servizio dell’indagine”.
La drammaturgia consisteva nell’immergersi con loro in questo tunnel di cinque giorni. E ciò avviene efficacemente attraverso riprese in soggettiva, in cui vediamo quello che vedono loro. Oppure attraverso i primi piani, che permettono al pubblico di “respirare” la scena, come spiega il regista che ha firmato “The stronghold (La roccaforte)”: “Volevo che anche il pubblico percepisse la fatica che hanno fatto le forze di polizia nella ricerca dei criminali. Per me era molto importante che si sentisse, che il pubblico la vivesse con i personaggi. Ecco perché è così iperritmico. Come in un incontro di boxe, quando siamo alle corde. Il respiro si fa corto, ma bisogna continuare e non mollare. È proprio questo che volevo ricreare visivamente. Cerco sempre di creare una forte connessione tra il pubblico e i personaggi, anche se impercettibile. Cerco di far sentire le loro emozioni, la fatica, il dolore o la gioia. Per questo, la mia ambizione era che il film fosse il più coinvolgente e naturale possibile. Per questo in tutte le scene d’azione ad alta intensità, il momento presente non può essere sostituito da alcuna forma di analisi. Ho voluto rispettare almeno quello che mi hanno detto gli agenti di polizia che hanno portato a termine l’irruzione. Questo momento in cui tutto si ferma, quando tutto diventa allo stesso tempo sfocato e molto chiaro. Non pensiamo ad altro. Volevo mettere il pubblico in questo stato di apnea. Uno stato in cui si blocca tutto per dedicarsi solo al proprio respiro”.
November – I cinque giorni dopo il Bataclan è stato presentato all’ultimo Festival di Cannes e ha ricevuto 6 candidature ai Premi César.
Il movie, distribuito da Adler Entertainment, arriva nei cinema il 20 aprile