Quello che è capitato ieri al Lido non mi era mai successo in anni e anni in cui seguo conferenze stampa e interviste. Nate Parker, regista, attore e sceneggiatore di “American Skin” alla fine della conferenza stampa si è lasciato andare alle lacrime di dolore sincero, di commozione profonda per la situazione in cui versa il suo paese, per la tragedia vera che il colore della sua pelle porta ancora come un marchio infamante. Per la storia che ci ha raccontato. E poi ha abbracciato tutti, me compresa, come se mi conoscesse da anni, come se cercasse conforto. Lui e anche Spike Lee. Come due bambini. Humanitas, ho pensato. Restiamo Umani, è questo che siamo e che dovremmo sempre essere, dovremmo sempre tutti abbracciarci e rispettarci, amarci perchè siamo umani, e basta. Al di là di tutto ciò che vorrebbe separarci.
“American Skin” è uno di quei film che dovrebbero essere visti da chiunque, proiettati nelle scuole, nelle Accademie e ovunque perchè non accadano più episodi di violenza, razzismo, odio e disgregazione. Invece l’America, come il mondo, è ancora qui a dover mostrare che cosa accade o può accadere quando la polizia ferma due uomini di colore nella notte, quando il rispetto della diversità è solo una parola senza alcun contenuto. Quando giustizia dovrebbe essere fatta ma invece ti senti costretto a dovertela fare da solo.
“Questo è un film necessario – ha detto Spike Lee – non mi emozionavo così da molto tempo. Nate, fratello, hai avuto molto coraggio, bravissimo. Spero che il film ci aiuti in questo momento così particolare per il nostro Paese. Il precedente presidente Barack Hussein Obama aveva detto che le presidenziali sarebbero state fondamentali e guardate cos’è successo, in che schifo siamo con quell’uomo, che non voglio neanche nominare, lo chiamo Agent Orange, l’agente arancione… Quell’uomo ha fatto tante cose malefiche ma la peggiore è aver strappato i bambini urlanti dalle braccia delle madri, per poi rinchiuderli in delle gabbie. E nulla è stato fatto per far si che le famiglie potessero riunirsi. Tutto questo in un Paese che si presume essere o si ritiene sia la culla della democrazia, il cui presidente dovrebbe venire considerato il leader del mondo libero. Invece ha messo in gabbia le persone. Quando Nate mi ha fatto vedere il film sono stato assolutamente scioccato, abbiamo parlato e pianto, da uomo a uomo, perchè dopo quello che era successo abbiamoanche discusso molto sul suo passato e sulla sua crescita personale”.
Lee si riferisce ad un episodio del 1999 in cui il giovane Parker e un amico vennero accusati di aver violentato una studentessa. Durante il processo la ragazza ritrattò e ritirò le accuse dicendo che l’incontro tra i tre era stato consensuale. Nel 2012 poi la ragazza, in crisi depressiva, si tolse la vita, fatto che scosse notevolmente il regista.
“Sono molto cresciuto da quel momento – ha continuato Parker – e ho imparato ad essere un uomo migliore, che è quello che intendo fare, progredendo ogni giorno della mia vita, per me, le mie figlie, il mondo, continuando ad essere un artista e un uomo di fede cristiana. La fede mi ispira in tutto ciò che faccio e spero di essere a mia volta ispirazione per chi ci sarà dopo di me. Spero di poter essere un veicolo di cambiamento di questo mondo, spero di riuscirci e di lasciare il mondo un posto migliore, ispirando le generazioni future”.
“Ho sentito forte la necessità e l’urgenza di riaffrontare questo tema della violenza e del razzismo perchè è quello che accade ovunque nel mondo, è un film in cui la disperazione e la dignità umana hanno un valore profondo, e se questo film può aiutare a salvare anche una sola vita, allora sarò felice, avrò raggiunto il mio scopo, avrò fatto la cosa più importante della mia vita. Spero che tutti possano vederlo, specie nei dipartimenti di polizia, gli addestratori e tutte quelle persone che hanno la possibilità di fare qualcosa. Il film prende lo spunto da un episodio vero, dall’uccisione di Mike Brown, e noi oggi non sapremo mai cosa Mike avrebbe dato al mondo, quale sarebbe stato il suo contributo e dobbiamo fare in modo che questo non accada mai più”.
E poi le lacrime.
Il film è per la prima volta una coproduzione euro-americana, anche se interamente ambientato e girato a Los Angeles e prodotto da Mark Burg, Tarak Ben Ammar e Lukas Behnken.