“You get what you deserve”, avrai ciò che ti sei meritato. Questa è la battuta del “Joker”, l’incredibile film presentato in concorso a Venezia 76 per la regia di Todd Phillips e interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix che dà il via alla rivolta civile in una Gotham City ormai allo sbando. E’ il climax che attendeva la folla, quando la guerra di uno diventa la guerra di tutti gli oppressi, dei poveri contro i ricchi, è il riscatto dei pagliacci da strada contro i miliardari di Wall Street. E quando il regista dice in conferenza stampa che il suo non è un film politico, o almeno, non in senso stretto, mi pare proprio di vedergli sulle labbra quella risata amara, sguaiata e quasi fastidiosa che è il tratto distintivo di questo Joker.
Joaquin Phoenix costruisce fisicamente e moralmente un personaggio che prima di ora non aveva mai avuto la dignità di avere un passato, una storia, una famiglia. “Sono dimagrito 25 chili per interpretare questo ruolo – racconta l’attore – e dimagrendo arrivano anche i problemi mentali, chi è passato attraverso queste esperienze lo sa. Non volevo dare agli psicologi nessuna possibilità di definire questo uomo. Gli ho fatto perciò essere di tutto, mite, nevrotico, empatico, spietato”. E fisico, molto fisico. Da quella risata larga, cacofonica e fuoritempo a quella schiena nodosa e secca mostrata come trofeo di un passato che verrà fuori piano piano, fino alla danza finale, in un crescendo di movenze slegate e disarmoniche, eppure perfette. Phoenix costruisce un Joker immortale, delirante, splendido, doloroso, violento e fragile come quel corpo in cui si muove.
Il film narra gli anni della formazione di quello che diventerà l’antieroe per eccellenza di Batman, Bruce Wayne, che qui vediamo bambino indifeso assistere all’omicidio dei suoi genitori. Dovremo arrivare ad odiare il Joker, invece Phillips ci spinge ad amarlo, comprenderlo, accettarlo e anche, forse, imitarlo.
Il lungo lavoro di sceneggiatura è un atto di amore verso The Killing Joke, la graphic novel del 1988 di Alan Moore e Brian Bolland, ma la sua reale ispirazione viene da Taxi Driver e The King of Comedy, i due capolavori di Martin Scorsese. Joker si interseca contro una Gotham sempre più cupa e newyorkese richiamando gli eco di Travis Bickle e il fallimento dello status della notorietà di Rupert Pupkin. Non ne fa molto mistero lo stesso Phillips che mette nel cast Robert De Niro nella parte di Murray Franklin, l’anchorman di una specie di talk show alla David Letterman di cui la mamma di Joker è grande appassionata.
E sarà in quello show che quella battuta accenderà la miccia nascosta nel cuore di Arthur Fleck, il mite Arthur Fleck che voleva far solo ridere la gente, non certo diventare un eroe, nè un leader.
Mai però sottovalutare che cosa la rabbia e la disperazione possano indurre un uomo o un popolo a fare. Ne potrebbe ancora discutere una certa Maria Antonietta.
“Pensavo che la mia vita fosse una tragedia, invece mi rendo conto che è una fottuta commedia”, dice il Joker prima di commettere un altro dei suoi atti crininali.
Questo è un film coraggioso, provocatore, violento, cupo ed esplosivo allo stesso tempo. Politico, certamente. Strizzando un occhio anche a V for Vendetta, chiama a raccolta un angelo vendicatore perchè il mondo sia finalmente un posto migliore, anche a prezzo dell’anarchia. Fleck è un uomo che non avrebbe avuto questo coraggio se non avesse conosciuto la disperazione a cui ti può portare una società malata e senza gentilezza, ecco perchè è giusto che danzi mentre Gotham brucia alle sue spalle. Chi è pronto a seguirlo?