L’abito fa il monaco. Ne è convinto Piero Tosi, il più grande creatore di costumi nella storia del cinema italiano. “Per questo il costumista se ne deve servire per comunicare la cultura, la condizione economico-sociale e la psicologia dei personaggi”. A voler dire che spesso le apparenze non ingannano per nulla.
Ora una mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal titolo “Piero Tosi. Esercizi sulla bellezza. Gli anni del CSC, 1988-2016”, documenta il lavoro del grande artista presso la scuola di cinema di via Tuscolana. Alida Valli in “Senso”, Silvana Mangano in “Morte a Venezia”, Charlotte Rampling in “Portiere di Notte”, Helmut Bergen in “Ludwig”, la coppola di Alain Delon in “Rocco e i suoi fratelli” e l’abito di Claudia Cardinale nel ballo di debutto nell’alta società de “Il Gattopardo”.
Tutto è iniziato nel 1988, quando Lina Wertmuller chiama Tosi come docente di Costume presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. Nel percorso della mostra protagonisti sono infatti i costumi d’epoca confezionati durante i seminari di costume al Csc.
Considerato il costumista degli anni d’oro del cinema italiano, Tosi debutta sul grande schermo con Luchino Visconti. Il primo film a cui lavorano insieme è Bellissima con Anna Magnani. Seguiranno film come “Senso”, “Rocco e i suoi fratelli”, “Il Gattopardo” e “Morte a Venezia”. Nel corso della sua lunga carriera, Tosi ha collaborato con i più grandi registi italiani come Pier Paolo Pasolini, Lina Wertmuller, Liliana Cavani, Gianni Amelio, solo per citarne alcuni. Con Federico Fellini mantenne invece sempre un rapporto di amore odio. “Lavorare con lui era per me una tortura. “Cercava di incastrarmi ad ogni film ma avevamo lo stesso difetto: essere sempre, fino alla fine, alla ricerca di qualcosa che produca quel quid. E non è una qualità, è proprio un difetto“.
In mostra anche fotografie tratte dai film più celebri, in cui si vede il talento di Tosi, 5 volte nominato e premiato con l’Oscar alla carriera nel 2013, nel fare costumi capaci di dare carattere ai personaggi. Creazioni che rivelano una attenzione quasi maniacale ai particolari, dai bottoni ai tessuti, in cui tutto concorre a rendere reale ciò che non lo è. Non possono mancare i ritratti delle allieve a cui Tosi ha fatto indossare gli abiti realizzati nei seminari. Tra queste riconosciamo Carolina Crescentini, Paola Minaccioni, Giulia Bevilacqua e tante altre.
Per i suoi abiti sontuosi, come quelli realizzati per il film Medea di Pasolini, Tosi racconta di aver preso spunto dalla pittura per ricreare con esattezza l’epoca rappresentata. “Solo attraverso la pittura si può avere il senso del colore più opportuno per raccontare una storia, un personaggio, un ambiente di un determinato periodo storico. La pittura dei Macchiaioli, per esempio, è sicuramente la miglior fonte, nel panorama artistico italiano della metà dell’800, per una ricostruzione verosimile del periodo“.
Ma quando un attore comincia a sentirsi dentro un abito? Quando si adatta all’attore come una seconda pelle. “Ci sono attori che hanno capacità camaleontiche, mentre per altri è un processo più difficile. Per esempio Gian Maria Volonté poteva compiere questo miracolo con apparente naturalezza: indossava un costume, si guardava allo specchio e riusciva a cambiarsi a poco a poco anche i connotati. Nei film di Francesco Rosi è identico ai personaggi che interpreta. In uno degli ultimi film a cui ho lavorato, Storia di una capinera [1993, Franco Zeffirelli], Vanessa Redgrave ha voluto con tre giorni di anticipo il saio della monaca pazza per viverci dentro. Pupella Maggio, altra attrice straordinaria, pretendeva di portarsi a casa il cappello del proprio personaggio per poterlo indossare e farlo proprio. E aveva ragione, perché il cappello deve appartenere a quella testa, e a quella soltanto“.