Nel suo ultimo film, Doubles Vies (Non-Fiction), presentato da Netflix, Oliver Assayas decide di indagare l’avvento della cultura mediatica di massa nella letteratura. Lo fa come se fosse un uomo anziano che racconta eccitato di questa nuova mania moderna chiamata “Internet”. “Il film vuole indurre a pensare chiunque sia interessato a capire come compreremo o leggeremo i libri in futuro”, dice il regista francese.
La storia è quella di Alain, un editore parigino di successo che fatica ad adattarsi alla rivoluzione digitale, nutre seri dubbi di fronte al nuovo manoscritto di Léonard, uno degli autori con i quali collabora da lunga data, trattandosi dell’ennesima opera autobiografica che prende spunto dalla sua relazione con una celebrità di secondo piano. Selena, moglie di Alain e affermata attrice teatrale, è del parere opposto.
“In realtà, questo è un dibattito culturale che va avanti da tempo nel mondo dell’editoria”, continua Assayas. “La trasformazione operata dalla rivoluzione digitale avrà conseguenze in tutte le culture, su ogni singola aspetto della società. Qui mi sono concentrato sul mondo delle case editrici perché la differenza è più netta tra le opere stampate e quelle digitali. Siamo di fronte ad cambio di paradigma simile a quello che hanno vissuto i nobili raccontati ne Il Gattopardo di Luchino Visconti. La fine del nobiltà dello spirito creativo . I nobili creativi sentono che si sta avvicinando la fine della loro superiorità, in favore dei nativi digitali”.
Oltre a filosofare sull’industria editoriale, Doubles Vies solleva interessanti questioni su come affrontare le mutazioni in atto nell’editoria e nei rapporti sociali con l’arrivo delle nuove tecnologie. “Bisogna capire cosa è realmente in gioco, e successivamente scegliere se addattarsi o meno”. Secondo il regista francese, la domanda fondamentale da porsi è “gli e-reader e gli audio libri riusciranno mai a rimpiazzare i libri?
Binoche e Canet diventano così i portavoce di un dibattito che contrappone il vecchio al nuovo, gli analogici ai digitali, gli editori che subisono il fascino delle innovazioni digitali agli autori che sembrano invece più restii a lasciarsi sedurre.
La bravura di Assayas e dei suoi attori sta quindi nel trattare un discorso complesso con la leggerezza di una elegante commedia che si diverte a smontare i luoghi comuni culturali più triti che si sono affermati in piena rivoluzione digitale e a lanciare una serie di frecciatine a quei cinefili ossessionati da Michael Haneke (regista de Il Nastro Bianco, nda) e a quei critici ormai smpre più occupati a recensire serie tv.