“Sono sempre stato convinto del fatto che la crisi economica occidentale sia la conseguenza della crisi morale che da decenni avvelena le nostre comunità. Per un paese, la fiducia nel prossimo è un bene assoluto, la sua mancanza lacera relazioni umane ed economiche”. E’ questa la nota introduttivaal nuovo film di Gennaro Nunziante che con “Il Vegetale” ritorna al cinema senza Checco Zalone.
Il protagonista questa volta è Fabio Rovazzi. Sì proprio lui, quello di “Andiamo a comandare”, autentico tormentone dell’estate 2016. Uno che si è fatto conoscere in giro pubblicando video divertenti su internet, poi è diventato un cantante. Nel film interpreta un giovane neolaureato che, tanto per cambiare, non riesce a trovare un lavoro, alle prese con un padre ingombrante e una sorellina capricciosa e viziata. Entrambi lo considerano un “vegetale”. Finisce per fare uno stage diverso dal previsto, ovvero raccogliere ortaggi in una campagna di provincia. Ma un evento inatteso lo catapulterà a capo dell’azienda del padre (Ninni Bruschetta) , un imprenditore edile che in linea con i tempi attuali cerca di aggirare gli obblighi tributari, frodando ed eludendo.
Il film vorrebbe ritagliarsi una sua profondità su tematiche attuali. Il regista pugliese tenta di inquadrare la voglia soprattutto dei giovani di scovare luoghi lontani dalle metropoli e lì inventarsi nuovi stili di vita sull’onda di altri ritmi. Una fuga dalla città per rifugiarsi nei borghi e nei piccoli centri che ci riportano al piacere di una vita sana e genuina. “Oggi la parola vegetale è usata frequentemente, dall’alimentazione al fine vita eccola risuonare puntuale”, scrive ancora Nunziante . “Oltre il valore salutistico e ambientalista, in questa “febbre dell’orto” c’è anche una parziale risposta che le nuove generazioni provano a offrire alla domanda sempre più crescente di giustizia sociale dopo i tristissimi anni “carnivori” dei loro padri. Ed è proprio dalla lotta tra “figli vegetariani” e “padri carnivori” che passa una possibile schiarita del nostro tempo”.
Va dato atto a Nunziante di aver intuito che le forme dell’ironia e della commedia si rivelano le più flessibili e adatte per affrontare argomenti a rischio di retorica. Ma ha messo troppa carne al fuoco e il film finisce per risultare piuttosto goffo. La sceneggiatura, zeppa di artifici tuttavia necessari per arrivare al sospirato finale, non regge il “peso morale” dei messaggi che vuole inviare. Il regista insomma non si accontenta e costringe lo spettatore a riflettere ancora una volta su una società che lo sappiamo tutti da tempo è senza valori, senza ideali, “a causa dello smarrimento di regole chiare per la convivenza civile, dell’annientamento dei diritti sul lavoro, dei privilegi concessi alle lobby imprenditoriali, e soprattutto del sequestro della partecipazione civile e democratica dei cittadini perpetrato dalla politica”. Parola di Nunziante.
Chissà come sarebbe andata con Checco Zalone , interprete molto meno prevedibile e più brillante di Rovazzi.