Pace, Solidarietà, Fratellanza, Resistenza, che Nelson Mandela volga lo sguardo a noi. Parole irrise, percepite come bagaglio della sinistra buonista ed ipocrita, degli italiani anti-italiani che non comprenderebbero il profondo disagio degli indigeni italiani. Malafede e cialtroneria profuse a botta di cinguettii e vergognosi selfie. Pace, Solidarietà, Fratellanza, Resistenza. Parole violentate e sostituite da un lessico belligerante, sprezzante, volgare. Il “rovesciamento del frame”, direbbero i politologi, è di fatto compiuto ed è accaduto senza la necessità di ricorrere ad una sintassi articolata, lo schema del pensiero dentro il quale si intercettano frustrazioni e bisogni fa uso di slogan brevi e chiari, l’esempio su tutti recita “la pacchia è finita”. Poco importa l’oltraggio all’evidenza: a ragliare sono i codardi.
Il Ministro Salvini ed il suo entourage giocano con la vita delle persone: giocano sporco a rafforzare il senso di violazione del diritto al benessere ed indicano nell’altro venuto da lontano, quello più facilmente identificabile, il meridionale prima, il nero poi, la causa di questa deprivazione. La pacchia degli italiani, quella a cui avrebbero diritto per nascita, sarebbe finita perché regalata a qualcuno venuto da lontano. Secondo gli indigeni italiani privati di un’antica mitica ricchezza sarebbe stata loro sottratta da un complotto ordito dagli italiani buonisti che odierebbero gli italiani della patria e della famiglia.
Per i gabbati da Salvini e dal suo entourage, da molti prima di lui, la pacchia indigena non è finita per mafia, per corruzione, di cui la stessa Lega è stata abile e scaltra veicolo, per evasione fiscale, per inquinamento ambientale, per sforbiciate epiche al welfare, per sfruttamento delle risorse (altrui), per speculazione finanziaria, per delocalizzazione (applaudita dalle destre e dall’ultima sinistra, che permette anche al più misero degli indigeni italiani di acquistare prodotti spazzatura a basso costo). No. La pacchia degli indigeni italiani sarebbe finita in una diaria di € 35,00 a beneficio di uno straniero.
E accade così che la culla della civiltà occidentale e cristiana, l’Europa, come gli indigeni si sperticavano e si sperticano a considerarla, viva la sua decadenza e l’Italia ne è la sua appendice infiammata. Rischio peritonite altissimo grazie alla buffoneria cialtrona dei due Matteo. E siamo ad oggi. Il Ministro Salvini riesce a far parlare di sé ancora, perché lui è davvero il più bravo. Mentre siamo attoniti, alcuni di noi sì addolorati per gli sguardi di sopravvissuti e le morti che non sappiamo evitare, un ministro della Repubblica si appresta a difendere gli interessi ed i numeri importantissimi della lobby e dell’industria delle armi. E come lo fa? Giocando ancora sporco, com’è nel suo stile, mobilitando l’umore del suo popolo ragliante con uno dei suoi slogan “il cittadino che si difende non deve essere processato”.
Procediamo con ordine. Il 14 marzo 2017, il Parlamento europeo aveva approvato le modifiche alla Direttiva 477 del 1991, stabilendo nuove disposizioni relative ai “controlli sull’acquisizione e sulla detenzione di armi”. Modifiche che avevano ricevuto 491 voti favorevoli e 123 contrari.
I paesi membri dell’Ue avevano una scadenza per il recepimento fissata al giugno 2018. La nuova Direttiva Europea 477 pone una serie di vincoli e di restrizioni sia al commercio di armi all’interno dell’Unione Europea, sia alla detenzione di queste. Oltre alla stretta sul commercio di armi da fuoco, anche online, la Direttiva predispone controlli più severi per l’acquisto di armi automatiche e semiautomatiche limitandone il possesso rispetto alla capacità dei caricatori: massimo 20 proiettili per le armi corte e 10 per i fucili.
L’11 febbraio 2018, il ministro Salvini in occasione della partecipazione all’Hit Show di Vicenza, la più importante fiera delle armi d’Italia, firmò un contratto in nome dell’ ‘onore’ con il Comitato Direttiva 477. Tempistica perfetta, da sciacallo direbbe qualcuno, se si considera che appena il giorno prima a Frattamaggiore, un gioielliere aveva ucciso uno dei tre malviventi entrati nel suo esercizio per una rapina innescando la bagarre mediatica e la corsa a chi meglio sostenesse urlando il diritto di ciascuno a difendersi con armi proprie, senza se e senza ma. Salvini fu il più bravo, ancora una volta. Andò a Vicenza per condurre una esemplare campagna elettorale basata sull’interesse di scambio.
Il documento dell’onore consta di otto punti che impegnano il capo legaiolo a «coinvolgere e consultare il Comitato Direttiva 477 e le altre associazioni di comparto ogni qual volta siano in discussione provvedimenti che possano influire sul diritto di praticare l’ attività sportiva con armi e/o venatoria, o su quello più generale a detenere e utilizzare legittimamente a qualsiasi titolo armi, richiedendone la convocazione presso gli organi legislativi o amministrativi in ogni caso si renda opportuno udirne direttamente il parere».
Detto in altri termini, come il governo italiano debba recepire la direttiva sulle armi lo deciderà la lobby delle armi.
Il Comitato Direttiva 477 e Salvini hanno a cuore in particolare tre questioni. Prima di tutto, il ricevimento della Direttiva Europea 477. In seconda battuta, il regolamento dei poligoni privati. E per finire il disegno di legge leghista depositato in Commissione Giustizia al Senato per la modifica dell’ articolo 52 del Codice penale e l’introduzione della «presunzione di legittima difesa». La questione molto delicata e da discutere in una dimensione pubblica e civile, è diventata invece il punto 8 di un ‘contratto privato’ siglato con una lobby di interessi altrettanto privati.
Non che prima dell’avvento dello sceriffo ministro, la lobby delle armi ed i ‘poveri italiani’ che ad essa fanno riferimento non avessero voce in capitolo. Nel marzo del 2017, gli uffici del ministero retto da Marco Minniti avevano prodotto una bozza di decreto che il Comitato Direttiva 477 non aveva digerito e che grazie ad una interrogazione parlamentare presentata dalla senatrice leghista Anna Bonfrisco finì per languire ferma in Parlamento.
Lo scorso 22 giugno, mentre il ministro Salvini giocava a fare il papà rais del Mediterraneo, scadeva il termine per il ricevimento dei pareri delle commissioni parlamentari sullo schema di legge predisposto dal governo Gentiloni. Il Ministro Salvini bloccava tutto, posticipando la scadenza al 31 luglio per poter finalmente far contenti quelli del Comitato Direttiva 477: evitare di inserire le troppe regole imposte dall’UE.
Per fare un favore agli amici della lobby, sul piano mediatico, il ministro Salvini ha quindi ricominciato con la bagarre della ‘legittima difesa’. L’obiettivo è fare in modo che il popolo ragliante si concentri esclusivamente sul desiderio di una vagheggiata, potenziale e possibile ‘vendetta o riscatto eroico’. Il Comitato Direttiva 477 è sostanzialmente un’ associazione che tutela privati cittadini, possessori di armi da fuoco. In Italia rappresentano la Firearms United che a sua volta rappresenta e riunisce oltre 100 milioni di proprietari di armi legalmente detenute in Europa. Chi sono i rappresentati? Sono riservisti, cacciatori, tiratori sportivi, collezionisti, commercianti di armi da fuoco, produttori, professionisti della sicurezza, operatori e cittadini comuni in possesso di armi legali.
È quindi legittimo chiedersi come mai queste compagini di governo abbiano così tanto a cuore le sorti di questi poveri, privati cittadini italiani, pur non annoverabili tra quei famosi 5 milioni di connazionali che vivono sotto la soglia della povertà?
In 4,5 milioni di case ci sono pistole o fucili, ma sui numeri c’è qualche dubbio di ufficialità. Si prenda il caso di un cacciatore. Per la legge italiana questi può detenere in casa un numero illimitato di fucili, seppur obbligato a denunciarli tutti. Ad ora non esiste un censimento adeguato del numero di armi da fuoco detenute legalmente dagli italiani, o meglio non se ne conoscono le cifre. In Italia ci sono 1.300 punti vendita al dettaglio di armi e munizioni e più di 400 associazioni sportive dilettantistiche e tiri a volo. Questo comparto produce un volume di affari pari a 100 milioni di euro. Sono numeri dell’Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili (ANPAM) che con orgoglio dichiara punte del 31% degli acquisti al sud e medie non al di sotto del 20% nelle regioni di nord ovest e nord est. Al di là delle percentuali, non ci è dato di sapere il numero reale di armi vendute. Proviamo ad immaginare allora quali profitti si prefigurano per i produttori di armi , se lo sceriffo Salvini ed il suo entourage la spuntassero. In un anno, le licenze per porto d’armi sono aumentate del 13,8%. Il numero è destinato a crescere: il 39% degli italiani, quasi uno su 4, è favorevole all’introduzione di criteri meno rigidi per il possesso di un’arma da fuoco per la difesa personale.
Nei primi sette mesi del 2017, i reati denunciati alle forze di polizia risultavano calati del 12%, gli omicidi del 15%, passando da 245 a 208. Rispetto al 2016, le rapine sono passate da 19 mila a poco meno di 17 mila e i furti da 783 mila a 702 mila. Nonostante i dati statistici dicano il contrario, gli italiani sono convinti di vivere accerchiati da ‘nemici’ e vogliono, bramano un’arma.
A questo punto della nostra riflessione, chi scrive inserisce un’altra proiezione statistica, solo apparentemente non congruente. In Italia, il 30,3% delle donne uccise in contesto familiare tra il 2010 e il 2014 è stata vittima di un arma da taglio, mentre il 28,2% è stata vittima di un’arma da fuoco. Nel Rapporto Eures su Caratteristiche, dinamiche e profili di rischio del femminicidio in Italia è indicato che “nel complesso degli omicidi volontari, è l’arma da fuoco lo strumento più ricorrente (utilizzato nel 44,4% degli eventi) , con una frequenza di circa venti punti percentuali superiore a quella osservata per le armi da taglio (24,7%)”.
Al di là delle istantanee e delle statistiche, la strategia del ministro Salvini, e di chi nel precedente governo a sinistra ha cercato di imitarlo, è molto chiara: nutrire il popolo ragliante di paure e finte emergenze, calcare la mano su casi mediatici come il caso del gioielliere di Frattamaggiore e far passare in secondo piano i favori da rendere alla lobby e all’industria delle armi: l’unico settore che non ha conosciuto e non conosce crisi né nel mercato interno, né sul mercato estero.